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Filu 'e ferru: un efficace digestivo

Tra la forma della Vita e la Vita 

la differenza è la stessa

di un Liquore fra le Labbra 

e un liquore nella Bottiglia

l'ultimo – eccellente da conservare

 ma per l'estatico bisogno

 lo stappato è superiore

 lo so perché ho provato

 

(Emily Dickenson)

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L’acquavite della Sardegna ha una storia tanto affascinante quanto curiosa.

Chiamato in lingua sarda “filu ’e ferru” (fil di ferro), il suo nome si deve all’usanza di nascondere sottoterra le damigiane e legarle a un fil di ferro per essere individuate immediatamente. Il perché di questa particolare pratica lo si deve all’introduzione, nel 1874, di un’esorbitante tassazione imposta dal governo sabaudo, calcolata in base a una produzione presunta. Molte delle famiglie però non si potevano permettere di pagare delle imposte e a malapena riuscivano a sbarcare il lunario ricavando qualche soldo dalle poche vendite, così decisero di produrre il digestivo - usato anche come rimedio naturale a tanti mali - clandestinamente.

Ebbe inizio così la rivolta silenziosa dei sardi che continuavano a produrre l’acquavite di notte e durante le giornate di nebbia in cui era più facile confondere i vapori dell’alambicco.

Si narra che fossero le donne a produrre di nascosto il prezioso liquido che successivamente veniva fatto sparire sottoterra, nei mobili a doppio fondo oppure nelle botole della casa.

Ancora oggi, la produzione familiare è molto attiva e spesso il potente digestivo - conosciuto in Sardegna anche con il nome di “abba ardente” (acqua che arde) – viene donato ad amici e parenti o viene semplicemente sfoderato dopo un pranzo non troppo leggero.

L’origine dell’acquavite si perde nella notte dei tempi e le prime testimonianze scritte delle apparecchiature usate per i distillati si hanno grazie all’alchimista greco Zosimo Panopolitano che tra il III e il IV secolo descrive quello che noi conosciamo con il nome di alambicco e ce ne fa avere un disegno dettagliato. L’apparecchio trovò sicuramente diffusione nel mondo arabo tanto che nel VIII secolo un certo Abu Moussah Dschabir al-Soli lo descrive come macchinario per estrarre oli curativi. Ancora un riferimento lo abbiamo alla fine del X secolo quando Ibn Sinā (siriano di origine) ci descrisse dettagliatamente la preparazione della ”acqua della vita” e l’estrazione degli oli essenziali ricavati dalle erbe e dai fiori.

Gli arabi ebbero dunque un ruolo decisivo nella diffusione dell’alambicco e dell’alcol, entrambi i termini derivano dalla lingua araba: rispettivamente al-anbīq e al-kuhl.

Nel processo di diffusione assunse un ruolo fondamentale la Scuola Medica Salernitana che, a partire dal X secolo, diventò il crocevia della cultura antica e moderna e dove appare per la prima volta la parola “aqua ardente”.

Successivamente anche il medico alchimista Taddeo Alderotti, vissuto nel XIII secolo - citato anche da Dante – descrive il processo di distillazione del vino.

Molti alchimisti e medici usavano l’acquavite come rimedio ai vari mali. La stessa Caterina de’ Medici – appassionata di farmacologia e di rimedi naturali– nei suoi Experimenti suggerisce l’utilizzo dell’acquavite per sconfiggere la peste ma anche come rimedio per far ringiovanire: “ aqua celeste che fa regiovanire la persona, et de morto fa vivo”.

Nel 1711 appare “Il libro dei segreti” di Filigeo di Lao in cui lo scrittore decanta le virtù dell’acquavite: utilizzata contro l’epilessia, rendeva l’alito gradevole, era un ottimo conservante per il pesce e per la carne, addirittura aggiunta al vino andato a male lo rinvigoriva. L’acquavite immunizzava chi fosse stato punto da uno scorpione o da un ragno velenoso. Aiutava a ricordare colui che avesse poca memoria, liberava dai calcoli e rinsaviva “chi aveva poco cervello”. Chi aveva febbre, bevendo il liquido magico, se ne liberava.

In Sardegna, la stessa importanza del medico l’avevano delle figure popolari che operavano con erbe spontanee e rimedi tradizionali. Erano le brujas o maistas e’ partu che davano indicazioni sul da farsi e accompagnavano il tutto con i brebus. L’acquavite veniva usato per curare il dolori ‘e casciali (mal di denti) oppure il dolori ‘e matza de is pippius (mal di pancia dei bambini). Nel primo caso venivano fatti dei gargarismi mentre il secondo rimedio consisteva nel preparare un pezzo di tela imbevuto nell’acquavite e zucchero per farlo succhiare al bambino e fargli così passare il dolore. Anche chi lavorava in campagna usava l’acquavite per curare s’ammuschitadura, una brutta infezione alla gola causata da un moscherino che s’infilava nel cavo orale provocando prurito. In questo caso, bisognava fare gargarismi con acquavite e aceto.

In Sardegna i primi a parlare di distillazione furono il gesuita Francesco Gemelli e il magistrato Francesco Maria Porcu. Mentre nell'Ottocento, lo storico Vittorio Angius decantava l’arte della distillazione degli abitanti di Santu Lussurgiu, paese della Sardegna che vanta la più antica tradizione del distillato. E’ proprio dal paese del centro dell'isola che nel 2005 si è voluto restituire onore al potente digestivo con il marchio ABBARDENTE che vinse l’etichetta dell’anno al Vinitaly di Verona. Attualmente il sofisticato filu ‘e ferru viene esportato in tutta Europa e anche a Chicago.

Il distillato è molto pregiato in Sardegna perché viene ricavato da vinacce – bucce d’uva – selezionate. Solitamente sono gli scarti del vino Cannonau o degli acini utilizzati per la vernaccia di Oristano. La sua gradazione deve essere compresa tra i quaranta fino a un massimo di sessanta gradi altrimenti non può rientrare, per legge, nella denominazione.

In alcune parti dell’isola viene aggiunto all’acquavite del caglio di agnello o di capretto usato in passato per le feste rurali. Qualcuno ci aggiunge del latte o dello zucchero per creare una crema e attenuare così l’alta gradazione alcolica.

Anticamente, veniva usata sa cubbedda un contenitore per il mirto, filu ‘e ferru o per il vino. L’antica borraccia sarda era in voga nel mondo agro-pastorale sardo fino agli anni settanta del secolo scorso. Oggi è diventato un prodotto ricercato dai collezionisti. Qualche anno fa, questo prezioso oggetto è stato riportato in vita dal falegname Antonio Pinna di Nurri che ha appreso l’arte di creare con il legno e interamente a mano questo oggetto antico.

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Il primo ad aver rappresentato l'alambicco fu il greco Zosimo Panopolitano tra il III e il IV sec.

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Anche Caterina de Medici suggerisce l'utilizzo dell'acquavite per sconfiggere la peste oppure per ringiovanire ...

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