top of page
I muretti a secco

Tancas serradas a muru

Fattas a s'afferra afferra

Si su chelu fit in terra

L'aiant serradu puru! 

 

(Gavino Achena)

Il muretto a secco, o su muru burdu, è considerato un elemento identitario della Sardegna e attualmente è tutelato dalla Legge regionale n°8 del 25 novembre 2004 che lo include nel Piano Paesaggistico Regionale.

​

Si tratta di un tipo di muro che caratterizza fortemente il paesaggio agrario della Sardegna, per chilometri e chilometri, e tanto attrae il turista che già dall’aereo rimane affascinato nel vedere le lunghe forme serpeggianti e imperfette e le varie sfumature cromatiche di tali costruzioni.

​

I muretti sono alti all’incirca un metro e venti, vengono eretti senza nessun tipo di malta e si sorreggono grazie alla tensione creata dall’incessante lavoro delle pietre che lo compongono che ne determinano un equilibrio.

​

Oggi l’Architettura li include tra l’arte povera perché i suoi materiali sono facilmente reperibili in natura. Sono in molti a credere che sia facile innalzare un muretto a secco ma solo chi lo costruisce per mestiere conosce l’abilità che richiede il dover accatastare una pietra sopra l’altra senza che cada subito dopo e che permetta al muro di durare per centinaia di anni. La tecnica di costruzione è millenaria ed era ben nota agli antenati sardi che la utilizzarono per costruire nuraghi, capanne nuragiche e tombe dei giganti e i muretti stessi che servivano a delimitare gli spazi necessari della vita quotidiana che si svolgeva attorno ai nuraghi. Nelle civilità successive a quella nuragica queste recinzioni vennero usate per creare ricoveri per il bestiame o per proteggere determinate colture. Ma il rimando più immediato per i sardi, a questo tipo di muro è l’“Editto delle chiudende”.[1] Promulgato nel 1820 dal Re sabaudo Vittorio Emanuele I, ebbe l’intento di migliorare l’agricoltura proteggendola dagli abusi dei pastori; in realtà lo scopo principale era quello di garantire maggiori introiti al nascente Stato italiano, introdurre il concetto di proprietà privata e creare una nuova classe borghese.

​

Prima di allora ogni villaggio era proprietario di un terreno (ademprivio) che veniva suddiviso in due parti destinate un anno al pascolo e un anno alla semina e viceversa garantendo una pacifica alternanza tra le due attività e una difesa da parte di tutti del bene comunitario. Il sistema di alternanza adottato, proveniente nientemeno che dalla civiltà nuragica, non venne mai alterato dalle numerose culture che si sono succedute sull’isola nel corso dei secoli. Tutti gli abitanti della comunità ne erano proprietari e tutti potevano intraprendere un’attività agraria o di pascolo. Il concetto di proprietà privata, in Sardegna, era quasi inesistente nella classe contadina piuttosto tutti gli spazi comuni venivano gestiti dalla collettività. Esistevano ovviamente dei terreni privati, già recintati con muri a secco, appartenenti per lo più ai nobili e al clero, che li davano in concessione al contadino con il sistema feudale delle decime. Si trattava di terreni con colture particolari quali viti e uliveti oppure di terreni recintati per evitare che il pascolo fuggisse.

​

L’editto improvvisamente permetteva alle persone di recintare i terreni liberi e divenirne automaticamente proprietari. Ci fu così una corsa sfrenata alla chiusura dei terreni con pietre, talvolta sottratte a costruzioni millenarie come nuraghi o capanne nuragiche, altre volte presi dalle muridinas (accatastamenti ordinati di pietre ottenuto in seguito all’aratura o bonifica di cui ancora oggi ne è ricco il paesaggio agrario sardo). La frenesia di tali azioni venne riportata nei versi in lingua sarda che tutti conoscono a memoria Tancas serradas a muru /Fattas a s'afferra afferra/Si su chelu fit in terra/L'aiant serradu puru[2] e che rappresentano una chiara fotografia di ciò che stava accadendo. Il provvedimento smantellava il sistema agropastorale sardo durato per millenni a favore dei potenti che possedevano i mezzi per farlo e per informarsi (in molti vennero a conoscenza dell’editto solo quando ormai le chiusure erano state già fatte). Il malcontento fu generale e causò continui disordini popolari a cui seguirono incendi, rovine dei muretti – atto punito dalla legge sabauda con la pena di morte - e omicidi. La fisionomia della Sardegna cambiò radicalmente (oggi si può dire spettacolarmente) e si assistette a un maggior impoverimento del contadino e del pastore che si ritrovarono a dover pagare a caro prezzo, a chi era riuscito a chiudere un fazzoletto di terra, un terreno che prima avevano gratuitamente.

​

Non in tutta la Sardegna però la reazione fu la stessa infatti più a sud e in altre zone costiere l’editto fu recepito positivamente perché finalmente si proteggevano le coltivazioni degli agricoltori dai pastori nomadi che, con atteggiamenti di prepotenza, entravano abusivamente con il loro bestiame sia negli ademprivi che in terreni privati danneggiando spesso le stesse recinzioni e vanificando la fatica del contadino. Questo atteggiamento ben noto già all’epoca di Eleonora d’Arborea veniva severamente punito nella Carta de Logu.

​

Il disastroso editto fu seguito da una legge del 23 aprile 1865 che aboliva gli ademprivi e le cussorgie e nella quale si imponeva una tassazione particolarmente onerosa sulle abitazioni che comportò l’esproprio di una casa ogni quattordici abitanti. La media nazionale era di una ogni 27.000. Questa legge sfociò con la rivolta de "Su Connottu", scoppiata a Nuoro nel 1868, in cui si richiedeva il ritorno a ciò che era conosciuto per il popolo, quindi alla proprietà collettiva. I moti che ancora oggi vengono ricordati con una targa posta proprio in piazza Su Connottu a Nuoro.

​

I muretti a secco rappresentano un capitolo doloroso e traumatico per i sardi la cui carica si percepisce ancora nelle leggende e nelle superstizioni tenute vive fino alla prima metà del secolo scorso. Ne è un chiaro esempio la figura della Accabadora che poneva fine all’agonia del moribondo, punizione che spettava a chi spostava i confini di un territorio.

​

Attualmente in Sardegna si sta assistendo a un processo di riappropriazione dei saperi antichi da parte dei giovani che stanno combinando, in tutti i campi, la conoscenza del passato con quella moderna. Questo fenomeno riguarda anche la riscoperta della costruzione dei muretti a secco che sta sfornando nuove generazioni di murajolos o maistr ’e muru.

​

[1] “Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna”.

[2] Terreni chiusi a muro/fatti a chi ne afferra di più/se il Cielo fosse stato in terra/avrebbero chiuso quello pure.Sono in molti a credere che la quartina in ottonari fosse stata scritta da Melchiorre Murenu. In realtà i versi furono composti da Gavino Achena anche se Giovanni Spano gli attribuisce a Francesco Alvaru.

  • Facebook Social Icon
  • Google+ Social Icon
  • YouTube Social  Icon
  • Instagram Social Icon

Fonti:

Editto delle chiudende del 1820;

Italia nostra, Pesaggi agrari 2011;

Murgia Michela, Viaggio in Sardegna, undici percorsi nell’isola che non si vede. Einaudi, 2008;

Ortu Leopoldo, La questione sarda tra ‘800 e ‘900. Aspetti e problemi. CUEC, 2005;

Pigozzi Giovanni, Intervento nel XIII° Congresso Internazionale de sa muradura a siccu tenutosi a Talana;

Pitzorno Bianca,Vita di Eleonora d’Arborea. Principessa medievale di Sardegna. Camunia, 1984;

bottom of page