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I Nuraghi

Cal'est s'artista chi t'at costruidu?

Poite a forma conica t'an fattu

Si domandat donzunu chi t'at bidu

Pro cale iscopu ses istatu adattu?

 

(Paolino Pischedda)

Chiunque girovaghi per la Sardegna non può fare a meno di notare delle strane costruzioni di pietra che sembrano scrutare il visitatore da lontano.

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A ben guardarle incutono un certo timore perché, nella maggior parte dei casi, sono collocate su un altopiano e la sensazione è sempre quella di essere spiati da qualcuno; in alcune zone pare addirittura di essere circondati perché ovunque ci si giri ce n’è sempre uno a far da vedetta.

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Si tratta dei nuraghi diventati indiscutibilmente emblema della Sardegna.

Unici al mondo per fisionomia e architettura sono presenti su tutto il territorio sardo da quasi quattromila anni ma sono ancora circondati da un alone di mistero.

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Ognuno di essi possiede un nome che lo identifica e oggigiorno se ne contano più di settemila, uno ogni tre chilometri quadrati, anche se un tempo pare fossero almeno il doppio!

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Le misteriose costruzioni – le più antiche Duos Nuraghes di Borore e Bruncu Madgui di Gesturi collocate nell’anno 1800 a.C. - ci raccontano il capitolo più importante della Sardegna, ancora ben radicato nel presente, e ci parlano

di una civiltà nuragica - durata ben otto secoli - che ebbe la sua massima espressione nel 1500 a.C. ma che subì un profondo cambiamento intorno all’anno 1000 a.C.

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Il nuraghe si trova spesso nelle vicinanze di una tomba dei giganti o di una domu de jana.

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Ma come è fatto un nuraghe?

Immaginiamoci un enorme secchiello capovolto, altissimo, costituito da giganteschi massi collocati con la tecnica isodoma: ben lavorati ai lati di altezza regolare e omogenea. Di base circolare, man mano che si spinge verso la sommità si restringe regalando al monumento la forma che lo caratterizza esternamente. Con grande sorpresa però, esplorando il nuraghe, ci accorgiamo che qualcosa non quadra. Infatti, ad accoglierci nel suo interno è una sale ogivale chiusa da una cupola vera e propria.

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Com’è possibile dunque che all’interno abbia una forma ovalata ed esternamente sia tronco-conico? In realtà, quello che vediamo è solo un gigantesco “cappotto” esterno che ingloba le sale ogivali disposte l’una sopra l’altra. Tra la corazza esterna e quella interna veniva lasciato uno spazio che gli astuti nuragici utilizzavano per creare la scala spiraliforme - usata per accedere ai piani superiori - oppure che riempivano con altri massi nel caso di edifici di un solo piano. La particolarità della tecnica costruttiva è che il guscio esterno e quello interno sono indispensabili l’uno all’altro. Tutti i componenti del nuraghe hanno una funzione ben precisa: si spingono a vicenda in maniera sia orizzontale che verticale creando un continuo stato di tensione atto ad ottenere un equilibrio statico per cui non c’è alcun bisogno di avere una malta legante! Che geni! Si tratta di edifici perfetti tanto che il professore Michael Hoskin li ha definiti la più sofisticata costruzione in pietra a secco dell’intera umanità preistorica che nulla ha da invidiare alla piramide egizia semmai - rispetto a questa - presenta caratteristiche addirittura più evolute. Un esempio è dato dall’ampio spazio ricavato all’interno del nuraghe di gran lunga superiore rispetto a quello che troviamo nella piramide caratterizzata invece da una spessa massa muraria. Una scelta non dettata sicuramente da un gusto estetico bensì dal tecnema costruttivo utilizzato. Insomma, a quanto pare l’antico popolo sardo era proprio esperto in edilizia! Lo dimostra anche l’utilizzo della cupola che, mentre le altre civiltà la scolpivano o la disegnavano, i nuragici la costruivano realmente affidandole l’importante funzione di mantenere la struttura in uno stato di perfetto equilibrio[1].

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Anche l’ingresso del nuraghe rimane particolarmente impresso perché pare una grossa bocca. Non tutti però sono disposti a farsi ingoiare dall’oscurità o a passare sotto l’architrave - sormontato da una finestrella di scarico - che in alcuni casi arriva a pesare anche cinque tonnellate come è il caso del nuraghe Ponte di Dualchi.  

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I massi utilizzati per la loro costruzione erano dati dai materiali reperibili sul luogo. I nuraghi in granito, trachite e basalto sono quelli più comuni anche se troviamo rari casi in profido rosso come il Santa Barbara di Scano Montiferru e l’Aleri di Tertenia. Interessanti anche quelli che comunemente vengono chiamati i “nuraghi bianchi”: l’Alvu di Nulvi, Mela Ruja di Sassari e Is Paras di Isili, quest’ultimo è uno dei più luminosi. Particolarissimo è invece  il Serbissi di Osini costruito su una roccia.

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In passato, la loro altezza variava dai dieci ai ventidue metri, l’equivalente di una palazzina di sette piani. Il nuraghe più alto che possiamo oggi apprezzare è il Santu Antine di Torralba che misura 17,55 metri anche se è stato calcolato che originariamente fosse alto ventidue metri. Ma le ciclopiche costruzioni sono arrivate a misurare ben ventisette metri, stima fatta per l’Arrubiu di Orroli che pare fosse il più alto del tempo.

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Quanti tipi di nuraghi esistono? 

Senza troppo perdersi in definizioni che suscitano non poche polemiche tra gli esperti in materia, si può affermare che il nuraghe più diffuso del territorio è quello a torre unica anche se non esiste un nuraghe uguale a un altro. Ognuno di essi è originale nonostante posseggano caratteristiche comuni (ingresso architravato, sale ogivali, nicchie, finestrelle e rampe spiraliformi). Possono cambiare i numeri dei piani, l’orientamento dell’apertura o l’inclinazione della costruzione – variabile dagli otto ai sedici gradi dallo zenit – ma anche il senso della scala prevalentemente orario e in rari casi antiorario, come è il caso dell’affascinante nuraghe Orolo di Bortigali. La misura più diffusa del diametro oscillava tra i dodici e i tredici metri. Solo il nuraghe Oes di Giave rappresenta un’eccezione con un diametro di 16,60 metri, il più grande finora stimato!

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Stupisce vedere le possenti monotorri inglobate in veri e propri complessi architettonici le cui pareti murarie formano dei lobi che in base al loro numero definiscono il nuraghe bilobato, trilobato, quadrilobato o pentalobato. I più rappresentativi sono indubbiamente il Santu Antine di Torralba, il Losa di Abbasanta e ovviamente Su Nuraxi di Barumini che nel 1997 è stato proclamato nientemeno che Patrimonio dell’Umanità.

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Esiste inoltre un’altra interessante tipologia di nuraghi che non sempre presentano una forma circolare. Rispetto ai primi si differenziano perché hanno un doppio ingresso e un corridoio che attraversa il nuraghe da una parte all’altra oppure vari corridoi che spesso si congiungono. Il tecnema costruttivo è lo stesso degli altri anche se la fatica per costruirli pare fosse stata molto più elevata. Un vero e proprio gioiello appartenente a questa categoria è rappresentato dal Seneghe di Suni. Molti studiosi li definiscono “protonuraghi” considerando l’edificazione anteriore a quella dei monotorre ma la datazione ha spesso dimostrato che le due tipologie fossero contemporanee e neanche in questo gli studiosi pare concordino.

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Come venivano trasportati fino a dieci metri di altezza i massi ciclopici che pesavano quintali?

Davanti a una costruzione del genere si rimane basiti e anche la persona più inesperta cerca di dare una spiegazione razionale sul trasporto dei grossi massi che venivano portati inspiegabilmente a più di venti metri di altezza. Senza scomodare gli extraterrestri come fa qualcuno, qualche architetto ha azzardato delle ipotesi sostenendo che la costruzione era frutto di un progetto ben preciso. Pare che innanzitutto venisse stabilito l’orientamento della porta e poi il diametro su cui si calcolavano le proporzioni del nuraghe. Si trattava probabilmente di una popolazione che possedeva grandi conoscenze matematiche e geometriche e usavano un’unità di misura precisa pari a 52,5 centimetri. Dopo aver disposto il primo filare di pietre si procedeva con gli altri conci in maniera progressiva e verso l’alto. Tante sono state le supposizioni riguardo alla costruzione e alcuni architetti hanno provato a spiegare il trasporto di quintali di materiale con il rotolamento dei massi attraverso l’uso di piani inclinati lignei sia sfruttando la rampa interna e issando i conci più piccoli con l’uso della carrucola. Tuttora però non esiste una teoria ufficiale che avvalli queste ipotesi.

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Ma qual era la funzione di queste possenti costruzioni?

Neanche sulla destinazione d’uso pare che gli studiosi si vogliano proprio mettere d’accordo!

Da Aristotele - che nel IV secolo a.C. li considerava tombe di eroi - fino ai giorni nostri, le teorie si sono sprecate. Vedette, presidi di sicurezza, torri di comunicazione contro il nemico, granai, depositi di metalli, officine e fonderie, abitazioni civili e addirittura trofei di guerra, i nuraghi nei secoli sono stati oggetto di una miriade di ipotesi, talvolta anche assurde. Il primo ad aver legato i nuraghi all’adorazione degli astri e ai culti religiosi fu, nel XVIII secolo, l’abate Vittorio Angius conosciuto anche per aver composto Conservet Deus su Re. La riflessione che condivise viene ancora oggi sostenuta da numerosi studiosi e ha messo in crisi le teorie ufficiali.

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Se gli edifici fossero davvero stati degli osservatori astronomici?

In Sardegna, l’Archeoastronomia fa fatica a emergere nonostante nel resto del mondo venga ritenuta una disciplina valida. È risaputo che le popolazioni antiche erano affascinate dal tempo, dalle costellazioni e dal movimento dei pianeti e ad essi dedicavano importanti edifici. Non si può quindi escludere che gli stessi uomini nuragici fossero attratti dai movimenti celesti e, per via della loro preminente posizione del Mediterraneo, fossero a conoscenza dei culti di altre civiltà e che da esse subissero notevoli influenze come avvenne per il culto della Grande Madre.

Dalle finestre dei nuraghi è possibile osservare perfettamente la luna e il sole durante equinozi, solstizi e lunistizi. Per pochi giorni all’anno, il sole sostava in linea con l’ingresso per poi ripresentarsi dopo 365 giorni solari. È probabile che i nuragici avessero un calendario solare e uno lunare. I giochi di luce a cui si assiste in questi periodi dell’anno fanno proprio pensare che osservassero gli astri e che misurassero il tempo. È ciò che emerge in maniera evidente nel nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu. Inoltre, è stato ampiamente dimostrato che le planimetrie del Losa e del Santu Antine rispondono perfettamente a uno schematismo astronomico. 

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Possibile che invece fossero delle torri militari?

Giovanni Lilliu, archeologo e professore all’Università degli Studi di Cagliari, fin dagli anni Ottanta, ha dato un preziosissimo contributo allo studio dei nuraghi e ha sempre portato avanti la teoria militarista oggi divenuta quella “ufficiale” condizionando anche la terminologia riferita a queste possenti costruzioni. È molto frequente sentir parlare di ballatoi, feritoie, mastii, muri difensivi, regge, etc. nonostante la teoria militare non abbia mai convinto una parte degli studiosi che sostengono che fosse difficile combattere all’interno di un nuraghe, lanciare saette da una delle “feritoie” e contenere persone e mezzi di sostentamento in caso di assedio. Lilliu però riteneva che gli edifici fossero delle “trappole mortali” ma alcune considerazioni sembrano non collimare con i dati a disposizione. Vero è che la sua ricerca è stata influenzata indubbiamente dai ritrovamenti dei bronzetti nuragici, raffiguranti guerrieri, da spade contenute all’interno delle nicchie e altro materiale di guerra che farebbero pensare a una popolazione di guerrieri.

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L’ipotesi religiosa è una terza teoria che ben si sposa con la prima. Molti antropologi parlano dei nuraghi come luoghi di culto dove avvenivano importanti rituali sciamanici o celebrativi che ancora ritroviamo nelle leggende de janas. Forse rituali terapeutici o di incubazione di cui parla anche Aristoletele. D’altronde, molti bronzetti nuragici rappresentano sacerdoti e sacerdotesse e ancora oggi in Sardegna è molto forte l’uso di erbe terapeutiche a volte si accompagnano a rituali specifici. 

Qualunque fosse la loro funzione in passato o il tecnema costruttivo il nuraghe attualmente rappresenta un’affascinante edificio purtroppo poco valorizzato dalle istituzioni.

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Stanchi di perdere ogni anno un pezzo di storia che si perdeva con i crolli degli edifici, nel 2013 un gruppo di ragazzi sardi ha fondato "Nurnet, la rete dei nuraghi" coinvolgendo l’intera isola e lanciando diverse iniziative la più importante “adotta un nuraghe” grazie alla quale, utilizzando le reti sociali, vengono date informazioni sul nuraghe prescelto ma anche sul territorio circostante.

La fondazione ha anche realizzato, insieme al CRS4, il geopartale Nurnet che mappa tutti i monumenti nuragici e prenuragici. Un vero e proprio archivio del patrimonio archeologico della Sardegna finora mai esistito. In esso è possibile trovare le posizioni esatte dei nuraghi, delle foto, informazioni e anche qualche video. Si avvale del principio dell’opendata per cui i dati sono liberi e chiunque può aggiungere le informazioni. Interessante anche la app “Nurnet map” che agevola la ricerca dei reperti archeologici nella zona in cui ci si trova. La rete Nurnet inoltre, molto spesso organizza gite ed eventi correlati a scopi sociali per promuovere e valorizzare il territorio. Ua vera riscoperta del territorio! 

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Molti dei nuraghi si posso visitare al loro interno e non solo. I più intrepidi possono addirittura salire fino alla terrazza dalla quale si può godere di uno spettacolare panorama. Per chi invece non se la sente o non ha tempo per vedere le principali torri dell’isola lo può fare visitando il museo “Casa Marceddu” a Norbello che ospita la mostra permanente “Ci fu un tempo” curata dalla cooperativa Paleotur che vede come protagonisti i modellini nuragici creati dall’artista Ignazio Mele.

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Nel 2016 è invece prevista l’uscita del film fantasy “Nuraghes” scritto e diretto da Mauro Aragoni che ha esordito con Quella sporca sacca nera. Il film, dalle sfumature horror, è ambientato in Sardegna durante l’epoca delle ciclopiche costruzioni e riprende un vecchio mito sardo, quello del geronticidio secondo il quale l’anziano, compiuto il settantesimo anno di età, veniva ucciso dal figlio con un rituale in cui assumeva l’erba sardonica provocandogli la contrazione dei muscoli facciali simile a una smorfia ghignante oggi conosciuta col nome di riso sardonico.

Vini e nuragici!

E non poteva mancare nell'isola una denominazione di origine IGT (Indicazione Geografica Tipica) che

riportasse il nome delle ciclopiche costruzioni. Si tratta dell'"Isola dei nuraghi IGT", una delle classificazioni più importanti della Sardegna i cui vini devono rispondere a caratteristiche specifiche. Sono ben diciassette le cantine che posseggono i requisiti richiesti dalla certificazione e che sono dislocate in tutta l'isola.

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La denominazione non poteva essere più azzeccata dato che, solo due anni fa, furono scoperti - nei pressi di Cabras - oltre 15.000 semi di vite dell'epoca nuragica che dimostrano che la viticoltura era conosciutissima dai nuragici. E allora, un brindisi agli antenati sardi!

 

[1] Scintu Danilo, Le torri del cielo. Architettura e simbolismo dei nuraghi di Sardegna, (pag. 118), PTM Editrice, Mogoro, 2007

Fonti:

Gruppo Ricerche Sardegna, La Luce del Toro, PTM Editrice, Mogoro 2011

Lilliu Giovanni, I nuraghi. Torri preistoriche di Sardegna, Ilisso, Nuoro, 2005

Murgia Michela, Viaggio in Sardegna, Einaudi 2008

Scintu Danilo, Nuraghe - Le torri del cielo, PTM editrice, Mogoro, 2003

Zedda M.Peppino, Archeologia del paesaggio nuragico, Agorà Nuragica, Cagliari, 2009

DAL 1997

SU NURAXI

DI BARUMINI  

È PATRIMONIO DELL'UMANITÀ

Ci sono 7.000 nuraghi sul territorio. I più antichi sono Duos Nuraghes di Borore e Bruncu Madgui di Gesturi che risalgono al 1800 a.C.

È stata definita la più sofisticata costruzione in pietra a secco dell'intera umanità preistorica...

 Il nuraghe più alto è il Santu Antine di Torralba che misura 17,55 metri. Quello che ha il diametro più grande è l'Oes di Giave con 16,60 metri...

Isola dei Nuraghi IGT -ottenuta nel 1995 - è una delle classificazioni vinicole più importanti della Sardegna. I vini per avere questa denominazione devono possedere determinati requisiti...

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