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Su mortu mortu, is animeddas e su Prugadoriu, la festa dei morti in Sardegna

La morte è un’usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare.

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(Jorge Louis Borges)

Si celebra la notte del 31 di ottobre e qualcuno crede sia la scopiazzatura della festa di Halloween.

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In realtà, si tratta di una festa “made in Sardinia”, molto antica, che a seconda della zona in cui viene celebrata prende una denominazione differente: Su Mortu Mortu, Is Animeddas, Su Prugadoriu o Is Panixeddas.

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Nulla ha a che vedere con la festa dei morti di origine irlandese più gettonata a livello mondiale, ma ha molti elementi in comune con essa.  È la festa dei bambini che, ancora oggi, vanno di casa in casa a chiedere un'offerta per le anime dei morti utilizzando le più svariate formule che vanno dal pro su 'ene e sas animas al seu su mortu mortu... Insomma, un “dolcetto o scherzetto” tutto sardo ma con radici storiche differenti rispetto alla festa anglosassone. Infatti, la celebrazione vede alla base la solidarietà delle famiglie benestanti nei confronti dei più sfortunati che – aiutati dalla festa – riuscivano a chiedere qualche alimento in più per l'anno. Ma non era certo l'unico giorno in cui - in Sardegna - veniva fatta la questua. Per esempio, nel paese di Bono la questua infantile veniva fatta per Sant'Andria (Sant'Andrea), il 30 novembre, mentre a Bortigali i bambini uscivano a chiedere Sa covazza il giorno di Santa Lucia (12 dicembre).

Anticamente, venivano offerti i frutti di stagione (nocciole, melagrane e mandarini), qualche soldino ma anche farina, grano, pane o pabassinos, caschettas, ossus de mortupan 'e saba, dolci speciali fatti appositamente per la festività dei morti.

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In alcuni paesi della Sardegna venivano accese le lantias (lampade ad olio) tante quante erano i morti che si volevano ricordare mentre in altre zone, la notte tra il 1 e il 2 di novembre, si usava imbandire la tavola per commemorare i propri defunti: veniva preparata una ricca e succulenta cena in cui si offrivano i piatti amati in vita dai propri cari e si aggiungeva qualche effetto

personale gradito alle anime tra cui sigarette, occhiali etc.

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Come ancora ricorda qualcuno con ironia non mancavano nelle case scene di ordinaria superstizione per cui i piatti preparati con grande fatica dalle donne di casa venivano consumati di nascosto dai mariti che probabilmente si alzavano durante la notte in preda a un certo languorino o, chissà, chiamati a banchettare dai loro avi. Nella maggior parte dei casi però il pasto lasciato per i defunti veniva consumato dai vivi come simbolo di buon auspicio.

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Anche nella festa sarda ritroviamo l'elemento della zucca (presente in quasi tutte le culture che celebrano i morti) che rappresenta simbolicamente l'anima dei defunti. Anche in Sardegna già in passato venivano intagliate, svuotate e corredate di una luce interna: il lumicino rappresentava la necessità del defunto della luce mentre i doni richiesti dai bambini rappresentava l'esigenza del cibo simbolo di continuità tra la vita e la morte. 

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Il paese di Orani è l'unico a conservare questi due importanti elementi: la zucca e la questua. L'uno e il due di novembre, dopo il tramonto, i bambini questuano sa curcuvicia: i bambini vanno di casa in casa con la zucca (is animedda) contenente il lumicino chiedendo su mortu mortu, l'offerta rappresenta l'obolo per liberare le anime del purgatorio; ecco perché in altri paesi dell'isola la festa viene chiamata su Purgadoriu

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Durante queste giornate inoltre, in tutta la Sardegna, venivano preparati dei pani speciali per ricordare i propri cari estinti. Nel paese di Sorgono veniva fatta sa pipia de thuccuru mentre a Ulassai, il paese di

Maria Lai, si fa ancora oggi sa pissudedda.

Fonti:

Archivio Antropologico Mediterraneo - Anno XVII (2014), n. 16 (1)

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