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I Menhir o  sas perdas fittas

 

La forza dell'indifferenza!

È quella che ha permesso alle pietre di durare immutate per milioni di anni.

 

(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)

I menhir sono monumenti che risalgono alla civiltà megalitica.

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Si tratta di pietre dalla forma allungata il cui termine -  di origine bretone - significa “pietra lunga”.

In Sardegna sono conosciute anche con il nome di perdas fittas (pietre fitte) e la loro altezza varia dai sessantacinque centimetri ai venti metri. Si trova proprio nell'isola - a Villa Sant’Antonio - il menhir più alto d’Italia denominato Corru Tundu di cinque metri e settantacinque centimetri. Sempre l’isola detiene un altro primato italiano in tema di menhir data dalla più alta concentrazione in Italia di perdas fittas con 740 esemplari (il 53,78% del totale si registra nella Provincia di Nuoro). Il primato europeo spetta invece alla Bretagna che ne possiede ben tremila e cinquecento.

Hanno quasi seimila anni e la loro lunga evoluzione ha permesso agli archeologi di attribuirli delle datazioni precise in base anche alle loro caratteristiche:

 

  • Gli aniconici  (3800 e il 3000 a.C.) le cui forme variano dal parallelepipedo, al prisma e al cilindro. Tendono a restringersi verso la sommità evocando una rappresentazione fallica. Un chiaro esempio è quello di San Salvatore di Nulvara I a Berchidda che evidenzia perfettamente il taglio dell’orifizio del glande. I più antichi risalgono a quest’epoca 3730±160 a.C. Si tratta di cinque stele ritrovate nell’imboccatura della grotta Sa ‘Ucca e Su Tintirriolu a Mara;

  • i protoantropomorfi (3300 - 2700 a. C.) la cui caratteristica è quella di avere da una parte la faccia piana e levigata e dall’altra una forma convessa;

  • gli antropomorfi (2700 - 2000 a. C.) la cui particolarità  è dovuta al fatto che sulle pietre ritroviamo spesso scolpiti dei nasi a pilastrino, degli occhi a coppelle oppure delle bocche. Quest’ultima categoria mostra come la civiltà megalitica si fosse evoluta nel corso dei secoli, trovando la sua massima espressione nelle Statue-menhir.

 

Ma che funzione avevano i menhir? La destinazione d’uso di queste pietre rimane ancora oggi un mistero anche se tantissime sono le ipotesi. Molti archeologi sostengono che fossero legati al culto della fertilità, simboleggiato dalla forma fallica e a quello della fecondità, simboleggiato invece dalle mammelle o dalle coppelle. Rispettivamente venivano eretti in onore del Dio Sole e della Grande Madre e non a caso venivano collocati nelle zone di campagna e in territori ricchi e fecondi.

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Altre ipotesi li vedono come indicatori di aree sacre e proprio per questo motivo venivano posti nelle principali vie di comunicazione. 

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Ma la teoria più affascinante arriva dal mondo dell'Archeoastronomia che li vede come marcatori di tempo, segnalatori di solstizi ed equinozi e osservatori astronomici. E' possibile infatti che i menhir rappresentassero l'Axis mundi, ossia l'asse che congiungeva il mondo divino e la Terra di Mezzo al mondo degli Inferi, quindi a quello dei morti. 

Pare inoltre che ci fosse un collegamento tra i menhir e il culto delle acque come sembrerebbe dal ritrovamento di un monolito all'interno della grotta del Monte Crasta a Osilo.

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E’ da tener presente che la civiltà megalitica è durata quasi due millenni e quindi è probabile che, nel corso dei secoli, la loro destinazione d’uso sia mutata con il cambiare delle generazioni e delle necessità del tempo. Li vediamo infatti reimpiegati nelle successive civiltà. I sardi dell’età del bronzo li utilizzavano a volte per ricavarne degli architravi per la costruzione dei nuraghi o come semplice materiale di costruzione per gli stessi. Ancora oggi infatti li possiamo apprezzare nel loro successivo riutilizzo. La loro presenza non passò indifferente neanche alla civiltà romana e a quella medioevale che invece li reimpiegò come segnalatori di confini agricoli.

In Sardegna, i menhir si trovano in prossimità di costruzioni funerarie (dolmen, domus de janas e tombe dei giganti) ma sono anteriori ad esse. Inoltre, nel processo di cristianizzazione dell’isola, si diede luogo a uno strano fenomeno noto con il nome di sincretismo religioso. La Chiesa, non trovando terreno fertile per la nuova religione, decise di adottare come metodo non quello dell’imposizione ma quello dell’inclusione costruendo delle chiese campestri vicino ai luoghi di culto appartenenti alla religione anteriore.

Di alcuni, citati dai viaggiatori dell’Ottocento, non ne rimane più traccia. Quelli che sono arrivati a noi li possiamo trovare distribuiti singolarmente, appaiati o in allineamenti. Li troviamo su tutto il territorio senza preferenza di altimetria. Quello posizionato nel punto più alto è il menhir di San Michele a Fonni che si trova a 865 metri s.l.m., mentre quello che registra un’altitudine minore è a 0 metri s.l.m. e si trova a Tortolì presso la spiaggia di Orrì dalla quale prende il nome.

 

Il materiale utilizzato per la loro realizzazione è vario in quanto veniva impiegata la pietra del luogo anche se prevale il granito, la trachite e l'arenaria. L’unico esemplare di menhir in porfido rosso lo troviamo a Santa Maria Navarrese e si chiama Sa Perda longa (la pietra lunga). Un’altra rarità è rappresentata dal menhir di arenaria rossa, materiale importato da altre zone, che si trova a Monte d’Accoddi vicino a quella che viene considerata ziggurat del Mediterraneo.

 

Di particolare rilevanza sono i siti Biru ‘e Concas a Sorgono - che ne custodisce circa duecento - e Pranu Muttedu a Goni che invece ne conta una sessantina disposti in cerchio la cui particolarità è dovuta all’allineamento di diciotto menhir che ha presumibili riferimenti astrali, temporali o riconducibili al culto degli antenati. A questo proposito va citato Is Cirquittus a Laconi, l’unico posto in Italia ad avere un museo di statue-menhir.

 

Un particolare riferimento è dovuto al cromlech nel complesso di Biriai a Oliena. Si tratta di menhir disposti a semi-cerchio che pare avessero una funzione calendariale. Tutti i menhir sono realizzati in granito tranne uno fatto in basalto che venne collocato tra est e sud, forse a voler segnalare la particolare posizione del sole rispetto all'orizzonte.

 

Tante sono le leggende che aleggiano attorno a questi idoli preistorici, la più conosciuta è la storia d’amore nata tra un prete ed una suora che, innamoratisi follemente l’uno del l’altro, furono convertiti in pietra in seguito alla punizione divina. I due menhir, uno maschile e uno femminile, si trovano nell’isola di Sant’Antioco e sono conosciuti con il nome di Su para (il prete) e Sa Mongia (la suora).

 

Ancora oggi inoltre, persiste la credenza popolare secondo cui le donne che non riescono a rimanere gravide hanno una probabilità di riuscirci strofinandosi nella la pietra ritenuta “fertile”. Una credenza molto viva nel Santuario di Sa Itria a Gavoi frequentato dalle aspiranti madri che sperano nell'influsso positivo della pietra ritualizzando questo momento. 

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La più alta concentrazione di menhir in Italia si trova in Sardegna con 740 esemplari.

Il menhir più alto d'Italia è Corru Tundu che si trova a Villa Sant'Antonio

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