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Is Launeddas

Allora il vecchio cercò certe erbe filamentose e unì in fila i suoi flauti,formando la prima delle leoneddas sarde. Prova e riprova,gli riuscì di suonare abilmente una melodia melanconica, armoniosa, discretamente sonora...


(Leggende sarde - Grazia Deledda)

Considerato uno degli strumenti a fiato più antichi e originali della musica popolare sarda e del Mediterraneo, viene identificato con la parola al plurale perché composto da tre tubi di canne in ognuno dei quali è inserita la launedda (o cabizzinu): una canna più sottile incisa alla base per ottenere una linguetta mobile che permette di produrre il suono. In realtà, le launeddas, diffuse originariamente nella Sardegna meridionale, indicano una famiglia di strumenti, ognuno dei quali possiede una propria tonalità. Le prime ricerche sulle launeddas risalgono al XVIII secolo e si devono al gesuita Matteo Madao. Fu però l’etnomusicologo danese Andreas Fridolin Weis Bentzon a dare un preziosissimo contributo allo

studio di questo peculiare strumento.

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Le tre canne che lo compongono possiedono differente spessore e lunghezza, caratteristica che gli permette di acquisire una tonalità specifica. Il tumbu è la canna più lunga - varia dai quaranta ai centocinquanta centimetri - è dritta e sottile e può essere composta da tre pezzi smontabili. Rappresenta la tonica e il caratteristico suono - dato da un’unica tonalità perché privo di fori - non può essere mai interrotto ed è proprio per questo motivo che per poterlo suonare è necessario l’uso della respirazione circolare che permette al suonatore di avere nelle guance una costante riserva d’aria. La mancosa e la mancosedda - le altre due componenti dello strumento - possiedono invece uno spessore più grosso e hanno una funzione armonica e melodica. La mancosa - legata al tumbu da uno spago – possiede cinque fori per la diteggiatura ma solo quattro vengono utilizzati per creare la melodia mentre il quinto serve per l'accordatura.

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Aggiungendo un po’ di cera vergine si può addirittura innalzare o abbassare l’intonazione. La mancosedda, slegata dalle altre due, è simile alla mancosa, viene suonata con la mano destra ed è composta da cinque fori.

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La particolarità dello strumento è data dalla capacità di produrre una polivocalità che ritroviamo anche nel canto a tenore. Le launeddas possono essere ottenute esclusivamente dalla canna Arundo donax che si trova nei pressi dei fiumi e si raccoglie tra gennaio e marzo ed esclusivamente durante il plenilunio. La migliore è reperibile in una zona circoscritta della Sardegna che si trova tra Barumini, Sanluri e Samatzai. In pochi però conoscono il punto esatto dell’estrazione perché il segreto viene gelosamente custodito e tramandato di generazione in generazione dai suoi suonatori. È invece noto che anticamente lo strumento si ricavasse dalle ossa delle zampe dei fenicotteri che rendevano il suono molto più dolce.

La scarsa resistenza dello strumento non ha permesso che giungessero esemplari antichi fino ai giorni nostri. L’unica datazione certa del suo utilizzo la si può far risalire al VI sec. a.C. grazie al ritrovamento di un bronzetto nuragico itifallico ritrovato a Ittiri e oggi custodito nel Museo Archeologico di Cagliari. Nel manufatto lo strumento è riprodotto con due canne, pare infatti che originariamente i componenti fossero due. Un’altra importante testimonianza la ritroviamo a Bolotana in uno dei bassorilievi della chiesa di san Bachisio del XVI secolo in cui viene rappresentato un suonatore con due “flauti”. La piccola chiesetta - unica a rappresentare un Cristo nudo - è un chiaro esempio di

sincretismo religioso.  

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Anticamente, il musicante svolgeva una funzione sociale molto importante. Lo si pagava per animare le feste laiche e religiose ma veniva anche convocato per fare da sottofondo ai muttettus e ai goggius e perfino per accompagnare su ballu e s'arza. Ritenuto il perno del ballu tundu  l’esecutore veniva posto al centro del cerchio e suonava anche per un’ora di seguito. Ancora oggi accompagna molte feste regionali quali sant’Efisio e i Candelieri.

 

Un vero suonatore di launeddas deve anche saperle costruire prendendo spunto da un’altra già esistente e ripararle in quanto si tratta di strumento facilmente deperibile. Per la sua riproduzione non ci si basa su calcoli astratti o su misurazioni acustiche ma su prove di suono. Ben lo sapevano i volti più celebri di questa difficile arte che enumera - tra gli altri - le personalità di Antonio Lara, Efisio Melis e Aurelio Porcu, appartenenti alla scuola del Sarrabus, ma anche il più grande maestro di launeddas vivente Luigi Lai, classe 1932, maestro dell'unica suonatrice di launeddas: Federica Lecca. La grande passione per lo strumento sardo nasce fin da piccola ed ora la ventenne vanta un curriculum di primissimo livello nel campo musicale: nota sul palco del Teatro Lirico di Cagliari, ha sfoderato lo strumento in occasione di feste popolari di livello internazionale quali il matrimonio selargino o la sagra di sant'Efisio.

 

Numerose sono le associazioni che mantengono viva la tradizione grazie a corsi e pubblicazioni e non mancano i giovani che si cimentano in questa difficile arte mescolando talvolta il suono ancestrale dello strumento alle sonorità di altre culture. Spiccano nel panorama musicale delle canne Gavino Murgia che mescola il caratteristico suono delle launeddas a quello della musica jazz, Nicola Agus che le ha addirittura portate al Festival Folk di Segovia accompagnando i più importanti maestri di flamenco e Andrea Pisu - che fa parte dell’associazione Maistus de Sonus che ogni anno organizza a Villaputzu il Festival delle Launeddas e il quale ha partecipato a festival nazionali e internazionali da Roma a New York collaborando con artisti di vari generi musicali dal blues alla world music.

 

L’origine della parola ha dato del filo da torcere a generazione di linguisti alcuni dei quali ritenevano che la parola derivasse dal termine latino ligulella che designava l’ancia. Ma la tesi più rivoluzionaria arriva da Fausto Casula, appassionato di linguistica e tradizioni sarde, il quale sostiene che il termine originale fosse Ddedda, evocativo del simbolo fallico, che venne poi trasformato in seguito alla repressione della Chiesa che mirava a cancellare qualsiasi traccia pagana.

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Tanta curiosità suscita la versione leggendaria dello strumento riportata dalla scrittrice sarda Grazia Deledda, vincitrice nel 1926 del premio Nobel per la letteratura.

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Le launeddas  sono ottenute dalla canna Arundo  donax che si trova nei pressi dei fiumi. Esiste una zona, che conoscono solo i suonatori, dove si trova la miglior canna per fabbricare lo strumento...  

Anticamente il suonatore di launeddas  svolgeva  una funzione sociale molto importante. Era sempre presente per su ballu 'e s'arza e faceva da sottofondo quando si cantavano i muttetus e i goggius...

Fonti:

AA.VV., Musica e Parole, Cagliari, Regione Autonoma della Sardegna Ass.to del Turismo, Cagliari, 2009; 

AA.VV., Sonos. Strumenti della musica popolare sarda, ISRE Ilisso, Nuoro, 1994;

Deledda Grazia, Leggende sarde, New Compton Editori, 1999;

launeddas.it

sardegnaturismo.it

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