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Su ballu e s'arza

Picóme una araña, y atéme una sábana

 

(Sabiduría popular)

Foto di Vistanet.it

Su ballu ‘e s’arza era un rituale che veniva praticato in Sardegna fino agli anni Quaranta in seguito alla puntura dell’àrgia (Malmignatta in lingua italiana). Si tratta di un ragno considerato velenoso - presente nell’isola - e riconoscibile dalle tredici macchie rosse che espone sul corpo.

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La femmina è più pericolosa del maschio perché possiede i cheliceri, molto più robusti, usati per pungere la vittima. Il suo veleno è quindici volte più potente di quello del serpente a sonagli e anche se oggi non rappresenta una vera minaccia per un soggetto sano e adulto,

anticamente veniva considerato un vero e proprio nemico dell’uomo.

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Fino a diversi decenni fa, si pensava che la puntura del ragno causasse una possessione demoniaca per cui veniva praticato un rituale - al quale tutto il paese partecipava per cercare di esorcizzare la vittima - secondo il quale l’ammalato veniva adagiato all'interno di un forno tiepido o immerso in una tinozza d’acqua calda. In alcune parti della Sardegna veniva addirittura ricoperto di terra o di letame.

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Una seconda parte del rituale consisteva nel cercare di capire se a pungere il malcapitato fosse stata un’àrgia nubile, sposata o vedova perché l’una era diversa dalle altre. Le prime due infatti, avevano il corpo bianco e delle macchie rosse mentre la terza era nera. In realtà, si trattava di specie diverse che la credenza popolare riconduceva a un unico animale.

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A questo punto, il rituale prendeva corpo iniziando da sette nubili donne che si mettevano a ballare e a cantare attorno all’infermo cercando di interagire con lo spirito maligno che lo aveva posseduto e cercando di capire se si trattasse di un' "àrgia nubile". Se la vittima non reagiva era il turno delle sette donne sposate che improvvisavano altri balli e canti, sempre movimentati, interagendo con “l’argiato” e concedendosi anche qualche licenza come alzarsi la gonna, prenderlo a schiaffi, sollecitandolo a parlare, mostrandogli il seno, spruzzandogli del latte, etc. Ma se neanche il loro operato dava frutti era la volta delle sette vedove. Il canto di queste ultime era una sorta di lamento, qualcosa di molto simile a un attìtu. Si ballava e si danzava ininterrottamente per tre giorni, spesso accompagnati dall'organo o dalle launeddas, durante i quali le ventuno donne si alternavano fino a che la vittima non reagiva con un sorriso che annunciava l’avvenuta guarigione. Solo allora si capiva di che àrgia si trattasse in base alla categoria di donne che stavano danzando in quel momento. Un''ottima riproduzione del rituale in video viene riproposta da Serafino Deriu nel filmato Su ballu e s'arza girato in parte nel paese di Bortigali.

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La messa in pratica del rituale fa supporre che la guarigione avvenisse grazie al rito apotropaico. In realtà, raramente si moriva in seguito alla puntura del ragno velenoso e il miglioramento era dovuto sicuramente alle grandi sudorazioni che subiva il corpo della vittima. 

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In tutta la Sardegna il rituale veniva svolto più o meno allo stesso modo tranne che nella zona dell’Oristanese dove dopo aver individuato la provenienza del ragno si faceva indossare alla vittima il costume del paese dell’àrgia. Se “l’argiato” era un uomo doveva indossare un costume femminile e viceversa. Inoltre, doveva cercare un compagno o una compagna con cui ballare, dopodiché veniva sottoposto a un vero e proprio interrogatorio assumendo un ruolo attivo nel rituale. Era lui stesso infatti che avvisava che l’argia stava per abbandonare il suo corpo per cui bisognava sbrigarsi a levargli il costume perché, rientrando in sè e non riconoscendosi, l’àrgia poteva “catturarlo” nuovamente. Il tanto temuto insetto però poteva anche essere generoso con l’uomo perché abbandonando il suo corpo poteva lasciargli in eredità un dono speciale come la capacità di cantare o di suonare la chitarra.

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Il ballo dell'àrgia era molto allegro e ancora oggi lo si può apprezzare in su dillu, uno dei tanti balli sardi, così chiamato perché le parole che accompagnano il ballo sono "dilliri, dilliri, dilliriana" che derivano da "dillisu" (scherno) e da "dilliriu" (delirio). 

Se il rituale non funzionava con le  sette donne nubili lo si faceva eseguire alle sette donne sposate. Se ancora non funzionava si facevano ballare sette donne vedove...

Scopri le bellezze della Sardegna

348. 4490720 

Fonti:

Caredda G. Paolo, Le tradizioni popolari della Sardegna, Editrice Archivio Fotografico Sardo, Sassari, 1993;

Gallini Clara, I rituali dell'Argia, CEDAM, Padova, 1967;

L’Unione Sarda 07/05/2015;

amicomario.blogspot.it;

sandiniapost.it;

Video : Su ballu e s’arza di Serafino Deriu

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