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Quella sadica risata...

L’inconcusso eroe, Sfugilla il capo declinando alquanto,

ed in quell’atto d’un cotal suo riso Sardonico ridendo,

e il pie del bue, A percuotere andó nella parete.

 

(D.H. Lawrence - Mare e Sardegna)

La locuzione "riso sardonico" significa “risata di ironia, derisione e provocazione caratterizzata da un taglio particolare dato dalle pieghe della bocca”.

 

Deriverebbe da un antico rituale praticato in Sardegna durante il periodo nuragico, secondo il quale i figli dovevano uccidere i propri genitori non appena avessero compiuto i settanta anni d’età. Come documentano i due antichi storici greci Timeo e Demone (III secolo a.C.), e come riportato anche nell’Odissea (libro XX), non si trattava di un rituale religioso bensì di una necessità sociale che portava all’uccisione dell’anziano diventato ormai un peso economico per la società in quanto aveva ormai esaurito il suo ciclo produttivo. L’anziano genitore veniva lapidato, preso a bastonate e spinto da un dirupo dopo aver assunto un infuso di erba sardonica che provocava la

contrazione dei muscoli facciali, per cui il cadavere mostrava nell’espressione del viso qualcosa di molto simile a una risata. Il monte Lopene, a Ovodda, pare fosse uno dei tanti luoghi della Sardegna dove veniva compiuto il sacrificio.

 

Importanti i ritrovamenti, nell’area di Tharros e di San Sperate, di alcune maschere ghignanti che rappresenterebbero proprio il riso sardonico anche se molti studiosi negano che si svolgesse realmente un rituale del genere. In ogni caso, dalla maschera si possono apprezzare vari elementi importanti per la lettura della storia dell’isola come la falsa risata, le rughe sul volto e il tatuaggio (nella maschera di San Sperate) che rimanda al simbolo del menhir di Villaperuccio. Una di queste statue si trova al British Museum di Londra ed una al Museo Archeologico di Cagliari.

 

Secondo quanto riportato dagli scrittori ellenici mentre si compiva il rituale, i sacrificati dovevano ridere e gioire davanti alla morte per mostrare coraggio e nobiltà perché piangere sarebbe stato un atto vile. Anche i figli dovevano mostrare serenità nel compiere l’uccisione, secondo alcuni per purificare la propria anima, secondo altri per mostrare fermezza d’animo nel gesto e secondo altri ancora perché la morte era solo una condizione temporanea. Molto spesso per provocare l’atarassia ci si strofinava sulla bocca l’erba sardonia che, oltre a causare un rigonfiamento delle labbra, provocava la contrazione dei muscoli mimici e quindi il “falso sorriso”. La locuzione viene ancora oggi utilizzata in campo medico per indicare lo spasmo dei muscoli masticatori che viene provocato dal tetano e da altre malattie.

 

Nel 2009, l’équipe del Dipartimento di Botanica, diretta da Mauro Ballero, ha scoperto e reso pubblico nel Journal of natural products che l’erba di cui parlavano i Greci è in realtà l’Oenanthe fistulosa, conosciuta comunemente con il nome di "sedano d'acqua" o anche come "prezzemolo del diavolo". Si tratta di una pianta velenosa, alta circa quaranta centimetri, che cresce solo in Sardegna, vicino ai corsi d’acqua, e viene chiamato così perché ricorda il sedano. Proprio la somiglianza con l’alimento può trarre in inganno e provocare la morte se viene ingerito come accadde sfortunatamente qualche anno fa a due turisti veneziani che tratti in inganno dall’aspetto e dal sapore dolciastro della pianta ne ingerirono una gran quantità e morirono nel giro di ventiquattro ore.

 

Pare però che l’erba abbia proprietà curative infatti, viene utilizzata, in quantità ridotte, da alcune case farmaceutiche, per fini terapeutici.  

Quando l'anziano compiva il settantesimo anno di età veniva lanciato da un dirupo perché rappresentava un peso economico per la società....

Fonti:

Caredda G. Paolo, Le tradizioni popolari della Sardegna, Editrice Archivio Fotografico Sardo Nuoro 1993;

Maoddi Pasquale, Lopene - Il sacrificio dei vecchi nella Sardegna arcaica, Memorie di Barbagia, 1996;

Masala Francesco, Il riso sardonico, GIA Editrice, Cagliari, 1984;

sardologo.com

treccani.it

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