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Sa Maistra 'e partu

Silenzio prima di nascere,

silenzio dopo la morte,

la vita è puro rumore

tra due insondabili silenzi.

 

(Isabel Allende)

Sa Maista ’e partu, conosciuta anche come Levadora o levatrice empirica, era la donna che veniva chiamata per assistere ai parti e svolgeva delle funzioni ben precise.

Di solito si trattava di un’anziana donna, spesso vedova, di ceto sociale povero. Aveva ereditato la sua dote dalla madre e la metteva a disposizione dell’intera comunità. Non chiedeva dei soldi in cambio del suo operato, ma di fatto era buona norma sdebitarsi offrendole dei generi alimentari, proprio come avveniva per l'Accabadora o per il servizio prestato dall’Attitadora. La si poteva ricompensare anche con qualche altro favore, atto che prendeva il nome di aggiudu torrau.

L’esperta veniva chiamata quando la

partoriente iniziava il travaglio e di solito si posizionava di fianco o dietro di essa, rassicurandola e assumendo una funzione di guida. I suoi interventi erano ridotti al minimo perché non somministrava farmaci, non effettuava esplorazioni vaginali, ma aiutava la partoriente a rilassarsi con dei massaggi, dei bagni caldi o degli impacchi. A volte praticava delle lavande nelle parti intime e, nel caso in cui il bambino non si trovasse in una posizione corretta al momento del parto respingeva verso l’interno le parti del bambino che non fossero la testa e veniva riposizionato esternamente con una frizione.

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Se subentravano altre complicazioni la Maistr’e partu faceva ricorso alle pratiche magiche e alla medicina popolare. Nel caso in cui la partoriente aveva difficoltà con la dilatazione apriva tutti i cassetti della cucina - luogo in cui avveniva il parto – la faceva mettere in linea con le tegole del tetto e se il bambino aveva il cordone ombelicale attorno al collo scioglieva eventuali nodi presenti nella stanza.

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Una volta nato il bambino, per favorire la fuoriuscita della placenta, faceva annusare del tabacco alla puerpera provocandole uno starnuto che agevolava la spinta. Dopo il parto la aiutava a coricarsi sul letto e provvedeva a pulire il bambino e a cicatrizzare l’ombelico con della cenere o del tabacco.

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Era lei a prendersi cura del bambino e della neo mamma anche nei giorni successivi. Infatti, lavava i panni del parto e si occupava delle faccende domestiche. Prima dell’ottavo giorno dalla nascita portava il nuovo arrivato in chiesa per farlo battezzare e per evitare che qualche coga gli succhiasse l’anima o che, in caso di morte, non potesse essere accolto in Paradiso. 

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La puerpera non poteva entrare in chiesa perché ritenuta impura per quaranta giorni dopo il parto. La prima volta che si alzava doveva fare il giro del letto, con l’aiuto dell’anziana donna che la esortava a recitare preghiere e i giorni successivi le faceva fare s’inkresiamentu, il ritorno in chiesa dopo il parto. Un vero e proprio rituale che simbolizzava un reinserimento nella società.

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Questa figura era rispettata da tutti persino dal medico che ne riponeva piena fiducia senza intervenire a meno che non ci fossero dei rischi concreti. La comunità presso cui viveva inoltre ne tollerava dei comportamenti che non si addicevano diversamente alla donna, come uscire di casa a qualsiasi ora del giorno e della notte o entrare in contatto con il sangue e gli organi genitali femminili di altre donne.

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Questa professione, resa illegale dalla seconda metà dell’Ottocento, venne esercitata abusivamente fino al 1970 ma era così affermata che le stesse amministrazioni ne richiedevano la presenza.

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 Se subentravano complicazioni Sa Maistr'e partu faceva ricorso alla medicina popolare sarda e alle pratiche magiche...

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