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Sant'Antoni 'e su fogu. La festa del fuoco
16 - 17 gennaio

Fogu, fogu,

peri su logu,

fumu, fumu

peri su mundu

Anticamente le feste in Sardegna erano legate al mondo agrario e tutti i rituali che si compivano erano propiziatori. Dopo la cristianizzazione tutte le feste sono state ribattezzate con nomi di santi, così come le conosciamo attualmente. La festa del fuoco, che dava inizio al ciclo del grano, veniva celebrata durante il solstizio d’inverno. Oggi la conosciamo come festa di sant’Antonio - chiamato anche sant’Antoni ‘e su fogu. Nella maggior parte dei paesi della Sardegna la festa ha inizio la notte del 16 gennaio e prosegue la mattina del giorno dopo.

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Secondo una leggenda sant’Antonio, accompagnato da un porcellino, si calò negli Inferi in seguito alla richiesta dell’uomo di avere un po’ di fuoco per cuocere del cibo. Il santo - con uno stratagemma – sarebbe riuscito a prendere del fuoco con un bastone di ferula gridando fogu, fogu, peri su logu, fumu, fumu peri su mundu. Ancora oggi si cantano alcuni gosos, durante questa giornata.  

In questa data, viene allestito un grande fuoco nella piazza del

paese, ma attenzione perché non tutti i fuochi sono uguali e proprio per questo motivo anche il loro nome cambia. Nel centro Sardegna il rituale viene chiamato sas tuvas (tuvera) che sta a indicare il grandissimo tronco d’albero caratterizzato da una cavità - ottenuta dal tempo o dai fulmini – dentro la quale viene fatto divampare il fuoco. In alcuni paesi, il tronco dell’albero viene tagliato una settimana prima tranne nel paese di Bortigali dove il rituale di gennaio è preceduto dalla festa della raccolta della legna: a fine settembre il nuovo obriere si adopera per tagliare sa tuva insieme a parenti e amici e, dopo un sostanzioso pranzo, la legna e il tronco sacrificato – accompagnato da scoppiettii, vino e musica - viene fatto sfilare per le vie del paese.  

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Nella maggior parte dei paesi il rituale viene chiamato sos focos (anche fogarone o foghidoni) in cui ad ardere non è più l’enorme tronco ma il grosso accatastamento di legna a cui contribuisce l’intera comunità.

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Nelle località ogliastrine è invece uso far bruciare un grande cumulo di frasche – da qui il nome sas frascas -  della macchia mediterranea rendendo il rituale più particolare per via del profumo che si sprigiona nell’aria. Il rito è arricchito da una prova di coraggio in cui i giovani cercano di scalare il grosso palo - inserito in mezzo alle frasche che bruciano - per prendere delle arance o – a seconda del paese – il pane rituale (collana ‘e calistros) posta sulla sommità.

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Unica nel suo genere è invece la celebrazione di Dorgali in cui le frasche sono di rosmarino il quale dà il nome al rituale chiamato appunto su romasinu.

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A Ottana (sa prima ‘essia) e a Mamoiada (i fuochi dei Mammuthones) il 16 gennaio è – oltre che la festa di sant’Antonio del fuoco - la data ufficiale della prima uscita delle maschere di Carnevale: è proprio da questo momento che ha inizio la festa in cui il mondo è sottosopra e dove tutto è possibile…

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Le varianti del rituale sono accomunate dalla benedizione del fuoco del prete - chiaro esempio di sincretismo religioso – dal ballo sardo, eseguito dall’intera comunità per l’occasione, e dall’offerta di dolci e vino. In passato questo momento magico era accompagnato anche dall’offerta del pane rituale – in Sardegna ne esistono più di mille – conosciuto come “il pane di sant’Antonio”.

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Ogni zona aveva il suo pane e il suo uso: s’ardia si preparava per i bambini che lo portavano in processione infilato in una canna mentre gli adulti trasportavano sa thilicca. A Ovodda, anticamente, si faceva su porcheddu ‘e Sant’Antoni un pane che aveva la forma di un maialetto. Ogni casa aveva il suo per proteggere persone e averi dalle calamità naturali e probabilmente deriva dall’antico culto di Demetra antica dea del grano e del Grande Pane. A Silanus, paese in cui il santo è patrono, invece si preparava sa diadema un pane dolcificato con sapa e miele. In altre località il pane variava negli ingredienti, nella forma e nella distribuzione: su coccone chin mele, regalato ai bambini per portargli bene, su cogone e sant’Antoni, fatto ancora oggi a Bono, sa fitta biarola, sa pani manna, su papassinu nigheddu, sono solo alcuni dei tanti nomi.

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Sant’Antonio veniva però ricordato durante tutto l’anno e le donne, durante ogni panificazione settimanale, gli dedicavano sa parthìda ‘e Sant’Antoni, un pane speciale, in alcuni paesi distribuito ai poveri.

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Perché il pane?

l pane si ricava dal grano e il grano è in realtà alla base del culto che ancora oggi si celebra a cui si è sovrapposto oggi il rituale cattolico. Fino al secolo scorso, si preparavano dei grossi pani decorati con immagini che riproducevano il contadino e il pastore e il rituale è sicuramente molto antico. A darcene testimonianza è il bronzetto ritrovato a Vallermosa  che nella mano destra sorregge una ciotola contenente probabilmente dell’acqua curativa (è stato trovato in prossimità di un pozzo sacro) e in quella sinistra un pane di grandi dimensioni. La piccola statuina di bronzo - denominata “offerente” e più familiarmente chiamata “Barbetta” perché a lungo creduta una statua maschile con la barba – pare essere una donna ustionata che porge dei doni forse per il sacerdote-sciamano. Oggi la si può osservare presso il Museo Archeologico di Cagliari.

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La festa del fuoco, insieme a sa covazzasu candelarzu, faceva parte delle celebrazioni del solstizio d’inverno che rimandavano al culto solare e ai riti di purificazione (il fuoco purifica) e di propiziazione: in molti paesi della Sardegna, anticamente, le ceneri del fuoco sacro venivano cosparse nei campi per renderli più fertili e le braci venivano donate a ogni capo famiglia per proteggere la casa dagli influssi negativi.

Fonti:

Caredda, Giampaolo, Le tradizioni pololari della Sardegna. Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro, 1993.

De Cumis, Marisa Iamundo, La sacralità del pane in Sardegna. Carlo Delfino Editore, Sassari, 2015.

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